Arjuna: che tipo è?

Se c’è un protagonista del Mahābhārata esso è certamente Arjuna. Coinvolto in centinaia di episodi, uno dei quali è la famosa Bhagavadgītā, Arjuna è di gran lunga il Pāṇḍava più importante da un punto di vista militare e proprio per questo è il bersaglio più ambito dai Kaurava e dai loro alleati (i 5 Pāṇḍava e i 100 Kaurava sono i cugini la cui ostilità reciproca culmina nella guerra devastante che costituisce l’argomento centrale del Mahābhārata nel suo complesso).
Il motivo principale della supremazia militare di Arjuna è che possiede un arco dalle faretre inestinguibili ottenuto dal dio delle acque Varuṇa (si tratta del famosissimo arco Gāṇḍīva, il solo suono della cui corda metteva in fuga i nemici) e numerose armi divine, armi cioè potentissime da evocare mentalmente nel momento del bisogno (è un tipo di arma che anche altri grandi guerrieri hanno: non è, in altre parole, una prerogativa esclusiva di Arjuna).
Arjuna ha ottenuto le armi divine da svariati dei, fra cui suo padre Indra (ogni Pāṇḍava è figlio di una diversa divinità invocata grazie a un mantra segreto dalle madri Kuntī e Mādrī, mogli del re Paṇḍu, al fine di dare una discendenza allo stesso Paṇḍu, costretto all’astinenza sessuale da una maledizione) e il dio supremo Śiva.
Con Śiva addirittura in una famosa occasione Arjuna si batte: Śiva sotto le mentite spoglie di un Kirāta, cioè di un appartenente a una popolazione di montagna — i due si incontrano sull’Himalaya, dove Śiva vive — aveva conteso ad Arjuna una preda (un orso che in verità era un demone che voleva uccidere Arjuna) poiché trafitta nello stesso istante dalle frecce di entrambi, e questo aveva causato lo scontro fra i due, prima verbale, poi a suon di frecce, poi con la spada, poi scagliandosi alberi e infine a mani nude. Arjuna ne esce ovviamente sconfitto, non senza però ricevere i complimenti del dio per la sua capacità di combattere e il dono, in cambio del valore dimostrato, di un’arma divina.
Un’altra caratteristica di Arjuna è la sua propensione a sposarsi e a fare figli: la sua prima moglie è Draupadī, che condivide con gli altri suoi 4 fratelli (ma in realtà lei aveva scelto, in un raduno di principi indetto dal padre per farle trovare marito, solo Arjuna), e da cui ottiene un figlio, Śrutakarman (tutti i 5 figli di Draupadī, uno da ogni Pāṇḍava, muoiono nel massacro notturno operato, a guerra ormai conclusa, nel campo dei Pāṇḍava da Aśvatthāman, figlio di Droṇa, per vendicare la morte del padre, ucciso con un inganno).
Oltre a Draupadī Arjuna ha altre tre mogli: Subhadrā, sorella di Kr̥ṣṇa che lui, su suggerimento dello stesso Kr̥ṣṇa, rapisce e da cui ha Abhimanyu (guerriero degno del padre, muore in guerra molto giovane assalito, contro le regole del combattimento leale, da svariati nemici contemporaneamente); Citrāṅgadā da cui ha un figlio, Babhruvāhana, che per dimostrare al padre le sue capacità militari, in un duello fra i due (scaturito nell’ambito del sacrificio del cavallo indetto da Yuddhiṣṭhira, verso la fine dell’opera) lo uccide (ovviamente Arjuna risorge). Babhruvāhana impiega tutta la sua forza mentre Arjuna no, poiché non se la sente di combattere contro suo figlio (in barba agli insegnamenti della Bhagavadgītā), e quindi Babhruvāhana, incitato da Ulūpī gli sferra un colpo mortale. Anche Ulūpī, la figlia del re dei serpenti, è una moglie di Arjuna (la prima, in ordine cronologico, che sposa dopo Draupadī), e grazie al potere di una gemma subito provvede a rianimarlo, rivelando che pendeva su di lui una maledizione che poteva essere cancellata solo in caso fosse stato ucciso dal figlio, e per questo Ulūpī aveva incitato Babhruvāhana a uccidere Arjuna, dato che sapeva di poterlo rianimare (anche da Ulūpī Arjuna ha un figlio, Irāvat, che muore in guerra combattendo eroicamente per i Pāṇḍava).
Un altro tratto del personaggio Arjuna è che quasi tutti lo amano (si è già detto che Draupadī, seppur segretamente, lo ama di più rispetto agli altri fratelli) e lo favoriscono: Droṇa per esempio, che addestra tutti i cugini e Karṇa nell’utilizzo delle armi, (Karṇa è il figlio che Kuntī aveva avuto dal sole in età molto giovanile, sempre grazie al mantra capace di evocare un dio e ottenere un figlio da lui, ma che aveva poi abbandonato in un cesto nella corrente. Dopo Duryodhana, il maggiore dei 100 Kaurava a capo dei “cattivi”, Karṇa è il più acerrimo nemico dei Pāṇḍava e in particolare vorrebbe uccidere Arjuna che odia profondamente senza un preciso motivo), Droṇa si diceva predilige su tutti Arjuna come allievo, lo considera un figlio, e per questo lo favorisce in più di un’occasione, anche in palese contrasto con il dharma (come quando chiede a un certo Ekalavya di tagliarsi il pollice della mano destra perché altrimenti sarebbe stato un arciere migliore di Arjuna); Kr̥ṣṇa favorisce Arjuna innumerevoli volte, a partire dal fargli scegliere per primo rispetto a Duryodhana fra avere lui come auriga (ma senza che partecipi mai alla battaglia) o avere dalla propria parte le sue potentissime truppe (Arjuna ovviamente sceglie Kr̥ṣṇa e Duryodhana deve accontentarsi delle truppe); Bhīṣma lo ama a tal punto da venir accusato più volte da Duryodhana di non fare tutto il possibile per ucciderlo e d’altra parte è Bhīṣma stesso a rivelare ad Arjuna (in verità si rivolge a Yuddhiṣṭhira con cui Arjuna era andato a trovarlo) l’unico modo, per di più non del tutto corretto (e comunque per nulla glorioso), con cui avrebbe potuto ucciderlo (in pratica Arjuna doveva, questo il consiglio di Bhīṣma, mettere Śikhaṇḍin davanti a se, per usarlo come scudo, e da dietro colpire Bhīṣma con le sue frecce, perché Bhīṣma non avrebbe risposto a frecce che venivano da Śikhaṇḍin in quanto quest’ultimo era nato donna); Indra, il padre di Arjuna, lo invita a stare nel suo paradiso per ottenere potentissime armi divine (Arjuna resta con Indra in paradiso per 5 anni), e interviene in prima persona (travestito da brāhmaṇa) per farsi donare da Karṇa (come detto, acerrimo nemico di Arjuna) la corazza e gli orecchini d’oro che lo rendevano invincibile.
Nonostante la sua superiorità militare, Arjuna non è tanto spesso nel cuore della battaglia perché impegnato a contrastare dei soldati appartenenti a una tribù che ha giurato di ucciderlo (ovviamente Arjuna ne uccide a bizzeffe ma la loro morte non incide sull’andamento complessivo della battaglia) o perché poco determinato nel combattere (nonostante gli insegnamenti della Bhagavadgītā), cosa che suscita più di una volta le critiche dei fratelli (d’altra parte partecipa, combattendo eroicamente, a svariate battaglie determinanti).
Non si può pensare ad Arjuna senza collegarlo a Kr̥ṣṇa, sicuramente in tutto il periodo della guerra (che dura solo 18 giorni ma che occupa svariate migliaia di pagine con le sue decine e decine di battaglie e centinaia di duelli scaturiti nel loro ambito, e che causa la morte di più di un miliardo e mezzo di persone — stranamente alla fine della guerra, in 11.26, viene precisato il numero dei morti: un miliardo seicentosessanta milioni e ventimila; e ancor più stranamente viene aggiunto che i dispersi sono ventiquattromila centosessantacinque), periodo (la guerra) in cui Arjuna e Kr̥ṣṇa sono letteralmente inseparabili (essendo il secondo l’auriga del primo), ma anche prima (Arjuna sposa la sorella di Kr̥ṣṇa nel periodo dell’esilio forzato, causato dalla funesta partita di dadi fra Yuddhiṣṭhira e Śakuni/Duryodhana) e dopo (per esempio nella cosiddetta Anugīta, dove Kr̥ṣṇa ribadisce ad Arjuna una parte delle verità esposte nella Bhagavadgītā e ne aggiunge delle altre — perché Arjuna gli aveva candidamente ammesso di essersi dimenticato quel che gli aveva rivelato nella Bhagavadgītā).
In guerra, oltre a incoraggiarlo e consigliarlo sul da farsi innumerevoli volte, Kr̥ṣṇa in diverse occasioni salva la vita ad Arjuna: per esempio frapponendosi fra una potentissima arma e Arjuna (l’arma su Kr̥ṣṇa si trasforma in una splendida ghirlanda di fiori); mettendo magicamente la mente di Karṇa (l’unico combattente a costituire un pericolo per Arjuna) in confusione in modo tale che lui, nemico giurato di Arjuna, si dedichi in battaglia sempre a qualcun altro; e abbassando con la forza delle gambe il carro su cui era con Arjuna, quel tanto per deviare una freccia che lo stesso Karṇa gli aveva scagliato durante il duello finale e che, senza l’intervento di Kr̥ṣṇa, lo avrebbe colpito fatalmente in fronte (la freccia infrange però il meraviglioso diadema che sempre ornava il capo di Arjuna, diadema fatto da Brahmā per Indra e da questo appunto donato a Arjuna).
Un episodio importante per dare ulteriori connotati al personaggio di Arjuna (oltre al grande eroismo, la propensione a sposarsi, l’essere il beniamino di molti e il farsi influenzare nei comportamenti dall’opinione di Kr̥ṣṇa) è quando, offeso dal fratello Yuddhiṣṭhira, su di questo si avventa per ucciderlo e solo l’intervento di Kr̥ṣṇa gli impedisce di farlo. Era successo che, durante la battaglia nel giorno (il diciassettesimo) in cui era comandante in capo Karṇa, Arjuna aveva abbandonato il fronte ed era andato a trovare Yuddhiṣṭhira, nelle retrovie poiché ferito, per sincerarsi delle sue buone condizioni. Yuddhiṣṭhira vedendo arrivare Arjuna ne deduce che Karṇa sia stato ucciso e esultando si complimenta con Arjuna per la vittoria. Quando Arjuna gli dice che no, Karṇa non era stato ucciso, ma lui era venuto lo stesso al suo cospetto per accertarsi che andasse tutto bene, Yuddhiṣṭhira va su tutte le furie e dice ad Arjuna che se è così farebbe meglio a dare il suo arco Gāṇḍīva a Kr̥ṣṇa e guidare lui il carro. Quando senza indugio Arjuna si dirige verso Yuddhiṣṭhira per ucciderlo per quel che aveva detto, Kr̥ṣṇa lo esorta a riflettere e a non commettere un atto tanto sconsiderato come uccidere il proprio re (Yuddhiṣṭhira in quanto primogenito dei Pāṇḍava era il re), tanto più che Arjuna aveva sempre mostrato massimo rispetto e totale obbedienza al re (questo è sicuramente un altro tratto di Arjuna, a cui possiamo aggiungere un’altrettanto assoluta obbedienza alla madre Kuntī).
Ma Arjuna rivela a Kr̥ṣṇa di aver fatto il voto di uccidere chiunque dicesse che doveva cedere il suo arco Gāṇḍīva a qualcun altro, ed era esattamente quello che Yuddhiṣṭhira aveva appena detto, per cui doveva ucciderlo per non contraddire la veridicità delle sue parole, e ovviamente avrebbe preferito non farlo quindi cosa poteva fare per uscire da questa situazione? Kr̥ṣṇa suggerisce di rivolgersi al fratello maggiore in tono sprezzante dicendo che questo sarebbe bastato a far rispettare la veridicità delle sue parole, dato che per un re la mancanza di rispetto è peggio della morte. Arjuna acconsente e per la prima (e ultima) volta si rivolge a Yuddhiṣṭhira senza il dovuto rispetto accusandolo di non avere titolo per dirgli cosa deve fare dato che si è ritirato dalla battaglia per curarsi le ferite, e, per umiliarlo ulteriormente, aggiunge che forse Bhīma sì potrebbe farlo, dato che lui sta combattendo eroicamente ma lui (Yuddhiṣṭhira) no di sicuro. Dopodiché, detto ciò e ritenendosi soddisfatto, si getta ai piedi del fratello per chiedergli perdono per le parole che gli ha rivolto e Yuddhiṣṭhira a sua volta si scusa con lui per quel che gli ha detto riguardo al Gāṇḍīva: a quel punto Arjuna torna nella mischia della battaglia lasciando Yuddhiṣṭhira alle cure dei medici.
In un’altra occasione è invece Arjuna a fermare Kr̥ṣṇa, quando quest’ultimo, avendo perso la pazienza, sta per avventarsi su Bhīṣma e eliminarlo. In questo caso Arjuna deve trattenere fisicamente Kr̥ṣṇa e ci riesce perché gli ricorda il suo giuramento di non combattere. Kr̥ṣṇa allora rientra in sé e rinuncia a uccidere Bhīṣma (che per altro lo stava incitando a farlo dicendo che morire per mano di Kr̥ṣṇa sarebbe stata per lui una fortuna immensa).
Se Kr̥ṣṇa è, si può dire, (anche) una specie di alter ego positivo di Arjuna (Kr̥ṣṇa è evidentemente molto più che un alter ego positivo di Arjuna), Karṇa è senz’altro il suo alter ego negativo. Figlio della stessa madre e del dio del sole, viene da Kuntī abbandonato in un cesto e gettato nella corrente di un fiume. Quando Kuntī si macchia di questa grave colpa (che Karṇa non le perdonerà mai) è poco più che adolescente e ha paura che la nascita di un figlio fuori da un matrimonio (seppur da un dio) comporterebbe l’estromissione dalla famiglia. E’ stata la leggerezza legata alla sua giovane età a farle usare, giusto per provarlo, il mantra che il ṛṣi Durvāsas, ospite nella casa paterna, le aveva donato per premiarla della sua pazienza e scrupolosità nel soddisfare tutte le sue richieste e perché sapeva, grazie ai suoi poteri ascetici, che ne avrebbe avuto un giorno bisogno (i cinque Pāṇḍava sono nati appunto grazie a questo mantra). Sta di fatto che dopo aver invocato il sole deve accoppiarsi con lui (il mantra non può fallire!), però tiene nascosta la gravidanza e alla nascita di un bambino con una corazza e degli orecchini d’oro (segno evidente della sua origine divina), lo abbandona alla corrente di un fiume.
Il neonato viene trovato e raccolto da un sūta, cioè un guidatore di carri, di madre brāhmaṇa e di padre kṣatriya (oltre che i guidatori di carri, alla casta dei sūta appartengono anche i bardi e i cantori e del resto il Mahābhārata, viene detto all’inizio dell’opera, è recitato proprio da un sūta, che a sua volta lo aveva sentito recitare da un altro sūta), di nome Adhiratha che lo porta a sua moglie, Rādhā, la quale lo nutre e lo accudisce con amore.
Per motivi non del tutto chiari ma che certamente hanno a che fare con una forma di invidia per lo status sociale e per i favoritismi di ogni tipo di cui è oggetto, Karṇa detesta Arjuna da sempre, cioè da quando si ritrova ad essere, insieme a lui e agli atri Pāṇḍava, e ai Kaurava, allievo di Droṇa nel periodo di addestramento militare (Karṇa che tutti, compreso lui stesso, consideravano di umili origini, era stato ammesso ad addestrarsi nel gruppo di principi perché Adhiratha, il padre di Karṇa, era amico del re cieco Dhr̥tarāṣṭra, padre dei 100 Kaurava e zio dei 5 Pāṇḍava).
Arjuna trova in Karṇa un nemico pari se non superiore a lui: nella dimostrazione di abilità che Droṇa indice per celebrare il completamento dell’addestramento, dopo che Arjuna viene lodato da Droṇa come il miglior arciere del mondo e dà una dimostrazione delle sue sorprendenti capacità con l’arco, irrompe nell’arena Karṇa che incita Arjuna a non vantarsi tanto per quello che ha fatto perché lui può fare altrettanto, e infatti esegue tutti i tiri fatti poco prima da Arjuna con medesima perfezione.
Solo perché Kr̥ṣṇa confonde la mente di Karṇa, lo si è già ricordato, Arjuna riesce a sfuggirgli fino alla battaglia finale. Nella battaglia finale tra i due a più riprese Karṇa prende un sopravvento momentaneo e Arjuna riesce (alla fine di un lungo e spettacolare duello) a ucciderlo solo grazie a un’infrazione del codice del combattimento corretto (è il solito Kr̥ṣṇa a incitarlo a fare una tale infrazione, ricordandogli le tante occasioni in cui Karṇa era stato scorretto).
Molto interessante (e divertente) è l’Arjuna-eunuco: nell’ultimo anno di esilio, che i Pāṇḍava dovevano passare in una città senza essere riconosciuti (altrimenti sarebbero dovuti stare altri 13 anni in esilio, di nuovo vivendo 12 anni da eremiti nella foresta e uno in incognito in una città), si recano nel regno del re Virāṭa ognuno scegliendo il proprio travestimento, e Arjuna sceglie appunto di essere un eunuco di nome Br̥hannaḍā e vivere nel gineceo del re sotto queste mentite spoglie allietando le donne con scherzi, canti e balli (Arjuna aveva imparato a suonare il liuto dal re dei gandharva, Citrasena, durante il suo soggiorno nel paradiso di Indra).
Assolutamente spassoso è l’episodio in cui Arjuna/Br̥hannaḍā (Br̥hannaḍā tra l’altro vuol dire “dal grande membro” ed è un nome femminile) acconsente a guidare il carro del figlio del re Virāṭa (Draupadī, in incognito presso la regina, aveva detto al figlio del re, che necessitava di un auriga perché il suo era recentemente deceduto in battaglia, che Br̥hannaḍā aveva delle insuperabili capacità come auriga che aveva appreso da Arjuna in persona in un periodo in cui era stata al suo servizio). Per far ridere le donne del gineceo impressionate dal fatto che proprio lei doveva andare in battaglia, si sbaglia a mettere le protezioni e l’armatura e promette che se vincerà porterà loro delle belle vesti prese al nemico.
Ma il momento più divertente è quando Arjuna/Br̥hannaḍā deve inseguire il principe che se la dà a gambe per evitare la battaglia e i nemici rimangono senza parole vedendo questa figura femminile vestita in maniera stravagante che insegue e riporta di peso sul carro il principe, gli affida le redini e si prepara a combattere (ovviamente Arjuna/Br̥hannaḍā sbaraglia senza particolari difficoltà i nemici).
Interessante è che, quando i Pāṇḍava rivelano al re Virāṭa la loro vera identità e lui, felice di essere circondato dai Pāṇḍava e di averli avuti a corte per un anno intero, offre a Arjuna sua figlia in moglie, lui declina l’offerta dicendo che, nell’anno passato nel gineceo, ha avuto con la figlia del re un rapporto di amicizia sincera e non può ora cambiare ruolo e diventare marito, anche perché questo getterebbe un ombra di sospetto sul suo comportamento nel periodo in cui era un falso eunuco: per questo Arjuna propone di dare in matrimonio la figlia del re a suo figlio Abhimanyu e in tal modo accontenta il re ma non compromette se stesso.
Come detto all’inizio di questo lungo post (spero che qualcuno lo legga fino in fondo!) Arjuna è uno dei protagonisti del Mahābhārata per cui innumerevoli sono gli episodi che lo coinvolgono e sarebbe impossibile menzionarli tutti.
Voglio però ancora menzionare un ultimo episodio, dove Arjuna perde i suoi poteri.
Avviene quando lui si reca a Dvārakā, la città di Kr̥ṣṇa, per celebrare i rituali funebri dello stesso Kr̥ṣṇa (ucciso per errore dalla freccia di un cacciatore), e poi portare via le donne e evacuare la città che sarebbe stata dopo poco sommersa dal mare. Così avviene, ma mentre Arjuna sta tornando a Indraprastha, la sua carovana viene assaltata da una banda di ladri a cui Arjuna intima di fermarsi. Siccome non si fermano ma anzi si lanciano all’attacco, Arjuna si appresta a combattere ma succede l’inconcepibile: le faretre dell’arco Gāṇḍīva si esauriscono, le armi divine non appaiono e i nemici lo sopraffanno portando via le donne (e il testo aggiunge: non poche delle quali furono contente di andare coi ladri).
Per Arjuna questo è il segno della fine e infatti poco dopo decide, insieme ai fratelli e a Draupadī, di partire in direzione dell’Himalaya con l’obbiettivo di arrivare al paradiso (che appunto si credeva ubicato sull’Himalaya): ma Arjuna non ci arriverà in carne ed ossa e morirà non lontano dalla meta (solo Yuddhiṣṭhira arriva vivo in paradiso dove ritrova tutti i suoi fratelli, Karṇa, Duryodhana e tutti gli altri guerrieri morti in battaglia).

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