Il dramma della vita (Mahābhārata, XI, 5-6)

Libro XI, Capitolo 5
Dhr̥tarāṣṭra disse:
1. Rivelami interamente e nel dettaglio la via dell’intelligenza, poiché è con l’intelligenza che si penetra quel mistero che è il Dovere (dharma).
Vidura disse:
2. Ora ti svelerò, dopo aver omaggiato il dio Brahma, come i grandi saggi parlavano di quel mistero che è il mondo della trasmigrazione (saṁsāra).
3. C’era una volta un uomo che, sballottato in questo grande mondo, giunse in una vasta foresta piena di bestie feroci.
4. Ovunque apparivano fattezze terrificanti di leoni, tigri e elefanti, voraci ed affamati, tanto da far paura persino alla morte.
5. Così, dopo aver visto il folto di tale foresta quell’uomo si terrorizzò, gli si rizzarono i peli sul corpo e si agitò.
6. Aggirandosi in quella foresta, si mise a correre di qua e di là, guardando in ogni direzione alla ricerca di un possibile rifugio.
7. Cercando da qualche parte una via di fuga si mise a correre, oppresso dalla paura, ma non poté uscire dalla foresta né riusciva ad allontanarsi da quelle bestie feroci.
8. Poi vide che quella spaventosa foresta era avvolta da ogni parte in una rete ed era circondata dalle braccia di una donna terrificante come non mai.
9. Quella grande foresta era inoltre disseminata di serpenti a cinque teste, grandi come montagne, e di immensi alberi alti fino al cielo.
10. Nel mezzo della foresta c’era un pozzo che non si vedeva, avvolto com’era da fitti rampicanti ricoperti d’erba.
11. L’uomo cadde allora in quel pozzo nascosto e rimase impigliato in quel groviglio di piante rampicanti.
12. Nel modo in cui, su un albero, un grosso frutto del pane è attaccato al picciolo, così lui penzolava coi piedi in alto e la testa in basso.
13. Allora capitò un’altra disgrazia maggiore pure della precedente: vide un enorme elefante sul bordo della copertura del pozzo.
14. Con sei facce, macchiato di nero, con dodici zampe, si aggirava intorno al pozzo ricoperto di rampicanti e erba senza mai fermarsi.
15. Inoltre, mentre era appeso [per mezzo dei rampicanti] ai rami di un albero, spaventose api di tutti i tipi, terribili nell’aspetto, se ne stavano sui rami di quello stesso albero gustando del miele che avevano portato lì precedentemente.
16. Desideravano ancora e ancora gustarsi quel miele, o toro dei Bharata, così dolce per tutti gli esseri che neppure un fanciullo avrebbe potuto saziarsene.
17. A fiotti e da ogni parte colava in continuazione quel miele, e l’uomo, standosene appeso, era intento a berne il più possibile in ogni modo, né la sua sete si placava mentre beveva in tale pericolo.
18. E desiderava quel miele senza sosta, mai pago, ancora e ancora, o re, e non gli veniva a noia l’esistenza.
19. Benché si trovasse in tale situazione, non vacillava la sua speranza di vita, quando dei topi, alcuni neri altri bianchi, si misero a rosicchiare il viluppo di rampicanti cui era appeso.
20. Dalle bestie feroci in fondo all’impenetrabile foresta, da una donna dalle fattezze mostruose, da un serpente sul fondo del pozzo, e dall’alto del pozzo da un elefante.
21. In quinto luogo dalla recisione, ad opera dei topi, del rampicante cui era appeso: questi i pericoli incombenti, e come sesta fonte di grande angoscia si aggiungevano le api, a causa della loro brama di miele.
22. Così se ne sta quell’uomo, gettato nel mare della trasmigrazione, e tuttavia non perde fiducia riguardo alla sua speranza di vivere.
Capitolo 6
Dhr̥tarāṣṭra disse:
1. Ah, che grande sofferenza! Quell’uomo si trova in una situazione penosa: come può provare piacere o appagamento stando così, o migliore di coloro che parlano?
2. Dove si trova il luogo dove costui vive tale destino senza scampo? E come può essere liberato da tale grande pericolo?
3. Rivelami tutto ciò in modo tale che possiamo fare del bene: provo infatti una gran pena poiché voglio salvarlo
Vidura disse:
4. O re, si tratta di un’allegoria usata dai conoscitori della liberazione, comprendendo la quale un uomo può avere accesso ai mondi superiori.
5. Quel che viene detto essere una foresta non è altro che il cosmo dove tutto trasmigra (mahatsaṁsāra), e la foresta inaccessibile è l’abisso che è questo mondo della trasmigrazione.
6. Le bestie feroci sono le ben note malattie, e la donna dal corpo smisurato che tutto sovrasta, i saggi dicono che è la vecchiaia che distrugge l’indole e l’aspetto.
7. Il pozzo di cui si parla è il corpo delle creature e il grande serpente che nell’allegoria sta nel fondo del pozzo è il tempo che uccide tutti gli esseri viventi: è lui il distruttore di chiunque abbia un corpo.
8. Quel rampicante che nasce in mezzo al pozzo, alle cui diramazioni è appeso l’uomo, è la speranza di vivere, che tutti gli esseri dotati di un corpo nutrono.
9. L’elefante a sei facce che gira intorno all’albero in cima al pozzo, o re, è l’anno, i suoi volti sono le sei stagioni, le sue dodici zampe sono i dodici mesi.
10. I topi sempre intenti a rosicchiare il rampicante, i saggi dicono che sono i giorni e le notti, e le api in quell’allegoria sono i piaceri che tutti esaltano.
11. Quanto a quei fiotti di miele che vengono giù copiosi si sappia che sono i piaceri dell’eros in cui affondano gli uomini.
12. I saggi che in tal modo conoscono il rivolgersi della ruota del mondo della trasmigrazione, recidono i lacci che li legano, e non rinascono più.

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