Śūrpanakhā kāmamohitā: l’amore di Śūrpanakhā (Rāmāyaṇa, III, 16-17)

Śūrpanakhā, a livello narrativo, è una figura fondamentale nel Rāmāyaṇa di Valmīki.
Si tratta di un’orchessa, una rakṣasī, una divoratrice di uomini, sorella del capo dei capi dei demoni, Rāvaṇa, quel demone sovrano dell’isola di Lanka, che, incitato dalla stessa Śūrpanakhā, rapirà Sītā sottraendola a Rāma.
Il fatto è che Śūrpanakhā si innamora di Rāma, quando lo vede, durante una delle sue solite scorribande nella foresta alla ricerca di uomini da sbranare, quando lo vede splendido, seduto a raccontarsi storie con Sītā e Lakṣmaṇa, sua moglie e suo fratello.

Lo vede splendido come un dio, e se ne innamora, viene sconvolta dall’amore (e per questo viene detta kāmamohitā “istupidita dall’amore”).
E così, invece di sbranare i tre uomini, rapita dalla passione, si rivolge a Rāma con animo sincero, chiedendogli, piena di desiderio, chi lui sia e che cosa ci faccia nella foresta Daṇḍaka, notoriamente infestata di orchi sbranatori di uomini.
Lui, senza batter ciglio, le spiega per filo e per segno la sua storia, e le chiede a sua volta chi sia lei.
Subito lei, rivelandogli di essere un’orchessa divoratrice di uomini, gli confessa il suo amore e gli chiede di sposarlo, incapace di vedere, poiché accecata dal desiderio, l’assurdità della sua richiesta.
Neppure la bellezza di Sītā la distoglie dai suoi propositi amorosi, anzi ai suoi occhi di rivale in amore, Sītā le appare brutta, deforme, vecchia, cioè — con la tipica ironia tragica dell’amore — quello che è, per eccellenza, lei stessa.
E’ un vero dramma amoroso quello di Śūrpanakhā, che accecata dalla passione, ambisce al divino Rāma, vede brutta Sītā e bella lei stessa.
Rāma a quel punto, divertito dalla situazione che deve apparire ai suoi occhi assurdi (un mostro che pretende di essere più bella dell’adorata sua Sītā!), si prende in parte gioco di lei, esortandola a riversare la sua passione sul fratello Lakṣmaṇa, perché lui, Rāma, è già sposato con Sītā.
Per questo la esorta a chiedere piuttosto al fratello, che è giovane, bello e cerca moglie, di sposarla.
Śūrpanakhā allora, la quale con ogni probabilità — in quanto orchessa — vive per la prima volta nella sua vita un’esperienza di desiderio amoroso, constatando che anche Lakṣmaṇa è bellissimo, rivolge verso di lui le sue ambizioni e la sua richiesta di essere sposata, promettendogli in cambio una vita di piacere e di libertà nella foresta Daṇḍaka.
A quel punto però Lakṣmaṇa, invece di far capire con chiarezza a Śūrpanakhā che il suo è un amore irrealizzabile, folle, insensato, decide di prendersi decisamente gioco di lei: e la esorta a insistere piuttosto con Rāma, dicendole che certamente Rāma, potendo scegliere, preferirà lei, di molto più bella di Sītā.
Così Śūrpanakhā, incoraggiata da Lakṣmaṇa nelle sue folli speranze, si reca da Rāma, che nel frattempo si è ritirato nella sua capanna insieme a Sītā.
Ma Śūrpanakhā a quel punto, raggiuntili, incapace di tollerare l’esistenza stessa di Sītā, vista come un odioso ostacolo alla realizzazione del suo sogno d’amore, decide di sbranarsela seduta stante, per diventare l’unica moglie, amatissima, di Rāma.
Così si scaglia con tutta la sua forza contro la povera Sītā, “come un gran meteorite su di una stella” dice Valmīki, e solo grazie all’intervento di Rāma, che caccia via la demonessa, Sītā ha salva la vita.
A quel punto Rāma redarguisce suo fratello, dicendogli che mai bisogna prendersi gioco di persone malvagie facili all’ira, e lo ammonisce che a causa sua, Sītā si era dovuta spaventare a morte.
Quindi gli ordina di sfregiare la demonessa tagliandole orecchie e naso, cosa che Lakṣmaṇa prontamente fa.
E così Śūrpanakhā, innamorata e ingannata e sfregiata, sanguinante dal naso e dalle orecchie, piangendo disperata, scappa scomparendo nel folto della foresta.
Ma questo affronto a Śūrpanakhā lo pagheranno caro i due fratelli figli di Daśaratha: perché sarà proprio Śūrpanakhā a scatenargli contro l’esercito dei rakṣasa locali prima (14000 demoni sbaragliati dal solo Rāma, sotto lo sguardo esterefatto e — immaginiamo — ancora innamorato di Śūrpanakhā) e poi a incitare lo stesso Rāvaṇa a rapire Sītā, dicendole che lei è bellissima (ma a nessuno lei confesserà mai il suo amore ferito per Rāma!).
E sarà proprio per un errore imperdonabile di Lakṣmaṇa, il quale lascerà sola Sītā, che Rāvaṇa, l’orrendo e potentissimo demone fratello di Śūrpanakhā, riuscirà effettivamente a rapire Sītā e portarla con sé nell’isola di Lanka, suo regno, per confessarle a sua volta il suo impossibile amore di demone.
Forse Rāma e Lakṣmaṇa avrebbero fatto meglio a rispettare di più il sentimento d’amore, per quanto fisico, volgare e assurdo, di Śūrpanakhā, provando a trasformarlo in qualcosa di più, in qualcosa in ogni caso di meglio, di una serie di sanguinose guerre, per quanto terminate con la sconfitta dei cattivi: ma, certo, Valmīki, l’autore del Rāmāyaṇa, non è propenso a credere alla forza “cosmica” dell’amore, che è comunque amore, in qualunque forma si presenti.
Per l’autore del Rāmāyaṇa, Śūrpanakhā è solo kāmamohitā, egli non vede altro, nel desiderio dell’orchessa di essere amata da Rāma, che una follia, giammai un sentimento da valorizzare.
A me però Śūrpanakhā fa un’enorme tenerezza, e trovo che, con lei, Rāma e Lakṣmaṇa non si comportino per nulla da eroi e che potevano evitare di prendersi gioco della passione di orchessa di Śūrpanakhā (e del resto appunto Valmīki gliela farà pagare cara, sia a loro che a Sītā).

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