Il passaggio dai bhāva ai rasa in Bharata: uno sguardo alla teoria dei guṇa o “qualità”

Secondo Bharata esistono otto sthāyibhāva o “emozioni di base condivise da tutti gli esseri umani”, i.e. 1) rati “passione d’amore”, 2) hāsa “ilarità”, 3) śoka “dolore”, 4) krodha “ira”, 5) utsāha “forza morale”, 6) bhaya “paura”, 7) jugupsā “disgusto” e 8) vismaya “stupore”, emozioni di base che sono in un certo senso la materia prima di ogni performance teatrale (e della nostra stessa esistenza).
Tali “emozioni di base” (lett. “emozioni che rimangono”), devono/possono (questo è il cuore della teoria del rasa esposta nel Nāṭyaśāstra) dare luogo ognuno a uno specifico rasa o “gusto, succo” nello spettatore: è sulla base di questi otto sthāyibhāva o “emozioni permanenti” che si può giungere agli otto rasa corrispondenti, che sono (ripeto il numero dello sthāyibhāva corrispondente) 1) lo śṛṅgārarasa o “gusto/essenza dell’amore”, 2) lo hāsyarasa o “gusto/essenza del ridere”, 3) il karuṇārasa o “gusto/essenza del compatimento”, 4) lo raudrarasa o “gusto/essenza del furioso”, 5) il vīrarasa o “gusto/essenza dell’eroico”, 6) il bhayānakarasa o “gusto/essenza del pauroso”, 7) il bībhatsarasa o “gusto/essenza del repellente” e 8) l’adbhūtarasa o “gusto/essenza del meraviglioso”.
Ovviamente (è questo il cardine di tutta la faccenda) il passaggio dal bhAva al rasa (o dai bhāva ai rasa) non è per nulla automatico né scontato: la produzione di rasa, secondo Bharata, è la magia della performance teatrale che funziona (è quindi un qualcosa, tutto sommato, di raro) e, per estensione del concetto in una dimensione esistenziale, il rasa è ciò che dà alla vita un significato profondo, e così facendo moltiplica (o addirittura svela) la magia intrinseca alla vita stessa. La cosa importante da non dimenticare quindi è che, se non è concepibile rasa senza bhāva (cioè il rasa deve partire e basarsi su un’emozione vera, provata fisicamente) è però assolutamente possibile, e anzi normale, che ci sia bhāva senza rasa: è il caso per esempio di quelle opere teatrali molto patetiche ma per nulla poetiche (o degli episodi o aspetti della propria vita molto emozionanti indubbiamente, ma poco importanti come impatto positivo generale sulla vita, se non addirittura dall’impatto decisamente negativo).
Per cercare di capire meglio in cosa potrebbe concretamente consistere la trasformazione dello sthāyibhāva (“emozione permanente”) in rasa (“momento esistenziale di senso profondo”) sul piano della vita individuale, cioè per capire come per esempio trasformare un episodio di ira (krodha) in essenza del furioso (raudrarasa), può forse aiutare riferirsi ai fondamenti della teoria dei guṇa.
La teoria dei guṇa individua tre aspetti di ogni fenomeno, ovvero l’aspetto bruto, in stasi e cieco, rappresentato dal guṇa tamas; l’aspetto dinamico e legato alle sensazioni piacevoli e spiacevoli, rappresentato dal guṇa rajas; e l’aspetto del distacco luminoso e della rarefazione, della serenità interiore, rappresentato dal guṇa sattva. (Tutto questo ovviamente a grandi linee e con tante possibili e necessarie variazioni e interpretazioni).
E’ dunque chiaro, appena uno prende in considerazione la teoria dei guṇa, che il bhAva ha molto più a che fare col guṇa rajas, e quindi con l’azione, e quindi con l’ego, mentre il rasa ha molto più a che fare con il guṇa sattva, quindi con la contemplazione, il superamento dell’ego e della compulsione all’azione, la gioia di essere/avere fatto/comunicare, piuttosto che quella (di impronta rajas) di fare/apparire/fruire. Il tutto permanendo comunque la necessità, anche nel rasa, della presenza di tutti e tre i guṇa (non è concepibile tamas puro, o rajas puro o sattva puro, almeno nella mia interpretazione della teoria di schietto orientamento Sāṃkhya).
Tornando al caso di krodhabhāva (cioè all’emozione dell’ira) e alla sua trasformazione in raudrarasa (l’essenza del furioso), preso come esempio della trasformazione di “emozione” in “succo/essenza” sul piano individuale, bisogna che l’individuo che prova krodhabhāva: 1) abbia un vero motivo di arrabbiatura (l’aspetto legato al guṇa tamas se vogliamo, dell’essere bruto) e non se lo inventi lui stesso (altrimenti ciò significherebbe che il rasa si potrebbe creare dal nulla, cosa impossibile in quanto allora il rasa non sarebbe prezioso e raro come invece è) 2) subisca una reale perdita di controllo dovuta all’ira (e questo corrisponde all’aspetto legato al guṇa rajas, guṇa per altro a cui, è messaggio comunque di tutta l’India classica, bisogna saper resistere almeno in parte con l’esercizio del “contenimento di sé”) 3) abbia la capacità di distaccarsi dalla propria emozione di ira (e anche abbastanza in fretta, essendo l’ira devastante), verso un superamento della stessa, verso una dimensione sattva della stessa, dimensione che può essere vista come una rarefazione interiore dell’ira, senza però che ciò significhi un diniego della portata conoscitiva che l’episodio d’ira ha avuto rispetto a se stessi e rispetto al mondo circostante (esistono i motivi per incazzarsi! E’ inutile negarlo: il problema è come trasformare l’ira in rasa, non sottrarsi per sempre all’ira, che sa un po’ di pia illusione se non proprio di falsità bigotta). Date queste tre condizioni o “fasi” (legate le prime due ad una “prevalenza” di tamas e rajas, la terza ad una “prevalenza” di sattva), l’individuo può trasformare le emozioni della propria vita in rasa, da donare e da gustare (esiste anche, a ben guardare, un aspetto altruistico nel rasa che nel bhāva in pratica non c’è: è la connessione rasa – dharma, che apre notevoli riflessioni etiche).
Ci si può quindi accorgere, a me pare, che ricercare il rasa non sia così diverso dal ricercare il sattva, e che il tutto possa ben integrarsi in un’ottica di puruṣārtha, il che è per definizione la ricerca di un comportamento “giusto”, cioè che segua il dharma e non sia confinato in un irrimediabile individualismo insensato, né prigioniero di dogmi vari.
Esisterebbe così dunque una linea esistenziale che collega karma (inteso come azione e come dimensione imprescindibile di ogni essere vivente), bhāva, rasa, sattva e dharma, linea assolutamente non predeterminata o predeterminabile negli esatti sviluppi, ma che ognuno può (deve?) ricercare e seguire, per dotarsi di una potente guida nella costruzione di una vita intensa, etica e potente (alla faccia del duḥkha, con tutto il rispetto).

1 pensiero su “Il passaggio dai bhāva ai rasa in Bharata: uno sguardo alla teoria dei guṇa o “qualità”

  1. Antonella

    Grazie caro Giulio.Ti ritrovo dopo anni attraverso questo scritto che non posso che condividere e per cui ti ringrazio di cuore.Antonella

    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *