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10 pensieri su “Download

  1. Enrica

    Un sincero messaggio per esprimere profonda ammirazione. È davvero prezioso e illuminante diffondere con chiarezza e rigore l’antica lingua sacra e invitare a leggere i testi più eloquenti. E com’è bello vedere che questo avviene grazie alla straordinaria dAnaparamitA – chiedo scusa per i diacritici di fortuna – e a un’autentica vocazione – termine forse poco efficace, ma è evidente che i lavori svolti e quelli in fieri disvelano qualità eccezionali. Spero di poter partecipare presto a un incontro. Molto cordialmente

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  2. Sergio

    “è parecchio ironico che la radice che significa “conoscere”, per essere pronunciata, sfidi le conoscenze di pronuncia”, tuttavia, a differenza della nostra concezione occidentale di “conoscenza”, la concezione yogica è che “conoscere è essere”, dunque l’ironia scompare e ci si trova di fronte ad una bella sfida.
    Ho appena finito di ascoltare la pronuncia dei vocaboli. Mi è molto piaciuta e sarebbe bello, e credo pure molto utile per tutti i visitatori del sito, se vi venisse aggiunta la trascrizione (magari sia trascritta nei nostri caratteri che in devanagari) dei vocaboli stessi, affinché l’ascoltatore possa confrontare il suono con quanto scritto. In tal modo dovrebbe diventare abbastanza facile applicare i consigli dati ad Alessandro nel punto 8 della pagina. Inoltre, sempre ai fini della pronuncia, mi azzardo a chiedere se non sia possibile aggiungere il sonoro di qualche altro sutra dello yoga, dato che vi sono implicite altre complessità “foniche” come ad esempio nel terzo sutra, dove si trova la parola drashtuH, in cui il suono sibilante della “sh” e quello cerebrale della “t” vanno ambedue pronunciati mantenendo la punta della lingua al centro del palato.
    Per concludere vorrei dare una risposta a Gianluca(punto 1). In India ci sono molti posti in cui si cerca di riportare il sanscrito al livello dell’uso quotidiano. Dunque non solo per leggere i testi antichi, ma anche per viverlo nelle situazioni di ogni giorno. Sono stati pure elaborati vocaboli (usanto i termini antichi) per esprimere concetti moderni. Ad esempio con la parola “duurabhaaShaa” (lett. lontano discorso) si intende il telefono, oppure con “duuradarshanam” (lontano visione) si intende il televisore. Se poi si segue il link con cui concludo, si avrà la sorpresa di visualizzare il primo quotidiano (che parla di fatti attuali) completamente in sanscrito. Dunque il campo di utilizzo è meno limitato di quanto sembra e qualunque gruppo di studio riuscisse a formarsi qui in Italia sarebbe certamente il precursore di una cosa molto bella.

    Ecco il link: http://sudharma.epapertoday.com/epaper/?yr=2011&mth=7&d=13

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  3. Sergio

    Relativamente al punto 6 c’è un errore nella spiegazione. E’ vero che il sanscrito si pronuncia in un modo solo e rimane vero anche per la sillaba jna. Il fatto è che tale pronuncia è difficilissima e, da quanto mi risulta, io sono riuscito a pronunciarla correttamente una sola volta. E’ infatti necessario riuscire ad emettere contemporaneamente il suono dolce della nostra g (quello di giocare per intenderci) ed il suono della nostra gn (quello di gnosi, ad esempio. Dunque non c’è nessun criterio infranto, ma soltanto una difficoltà molto difficile (anche per gli stessi indiani) da sormontare.
    Comunque complimenti per il sito

    Sergio

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    1. Giulio Geymonat Autore articolo

      Grazie Sergio per il contributo.
      Io rimango soprattutto colpito dall’ironia implicita nella questione della pronunica di jJA: voglio dire è parecchio ironico che la radice che significa “conoscere”, per essere pronunciata, sfidi le conoscenze di pronuncia!

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  4. Alessandro

    Grazie per aver messo a disposizione questo ottimo materiale di studio. Ho trovato molto preziose la registrazione della esatta pronuncia.

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    1. Giulio Geymonat Autore articolo

      L’ideale, in un certo senso, sarebbe prima “arrivarci da soli” all’esatta pronuncia e poi verificare che sia giusta ascoltando la pronuncia “giusta” altrui.
      Quel che sempre suggerisco ai miei allievi è di prendere coscienza, relativamente al proprio “strumento fonico” (cioè al “complesso” gola, cavo orale, labbra, naso), dei luoghi fisici della produzione dei suoni (i punti articolatori cosiddetti), del tipo di emissione di fiato da fare (maggiore per le occlusive aspirate, per le sibilanti e per l’aspirata, minore per tutti gli altri suoni) e di come i punti articolatori sono “usati” (“lasciati liberi” per i suoni vocalici, “premuti” per le occlusive, “sfregati” per le semivocali, “soffiati” per le sibilanti e con un’aspirazione per l’aspirata h): è descrivendo tutto ciò (molto meglio di così!) che gli antichi trattati di fonologia indiana sono riusciti a descrivere e “bloccare” ogni suono del sanscrito, consegnando alla posterità una lingua dalla pronunica univoca e certa (quasi).
      In ogni caso, il punto è che se si controllano i suoni del sanscrito, leggere un passo in trascrizione è un gioco da ragazzi! Quindi, caro Alessandro, procurati una buona trascrizione e buttati a leggere: e mi raccomando fallo sempre AD ALTA VOCE!

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  5. nilo

    Ti ringrazio anch’io!
    l’imbattersi in quegli affascinanti e spesso lunghi termini indiani senza saperne la pronuncia né i criteri per scegliere fra le varie che capita di sentire ( il cui culmine fu per me la dizione del sesto chakra, variante da ag-na ad agnia e perfino agina, aghina, aina e ag-nia ) produce un leggero sfinimento 🙂

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    1. Giulio Geymonat Autore articolo

      In teoria il sanscrito è pronunciabile in un solo modo, che è poi corrispondente a come si scrive (cioè il criterio è come scrivi così pronunci, un sogno se pensiamo a lingue come l’inglese o il francese), ma, e c’è certamente molta ironia in questo (l’ironia è un tratto ricorrente della mentalità indiana antica e classica) la radice jna (in trascrizione harvard-kyoto jJA) che vuole dire “conoscere” (e qui sta l’ironia) non si pronuncia come si scrive: cioè la radice che significa conoscere sfida ogni conoscenza!
      Dalla radice jJA si formano tutta una serie di parole fondamentali come prajJA, ajJA, vijJAna, ecc.
      Quindi siccome è infranto il criterio una scrittura-una pronuncia, finiscono per proliferare pronuncie varie: dal “normale” jna, a gnya e pure dgnya (cioè con una punta di dentale): insomma un oggettivo casino! Io personalmente pronuncio “jna” o (quando mi ricordo) gnya (con la gutturale e poi una specie di nasale palatale; cioè non gna di “compagna” ma g-nya).
      Va detto che anche la R vocalica (quella di Rgveda) è soggetta a pronuncie leggermente diverse: una r sonante (quindi non tanto diversa da una erre consonantica), oppure un suono ri o ru (sia la i che la u sono pronunciate pochissimo, per non confonderle con i gruppi ri e ru di, per esempio kriyA o rudra). Di nuovo io personalmente preferisco una pronuncia r e basta (ma se dovessi scegliere fra ri e ru sceglierei il primo).
      Devo dire che il bello del sanscrito è anche che c’è sempre una piccola eccezione che infrange la regola: lo rende più vivo!

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      1. Giulio Geymonat Autore articolo

        Rileggo questa serie di commenti sulla pronuncia di jJA e temi derivati dopo anni, e devo dire che nel frattempo, recatomi a Varanasi, India, ho potuto riincontrare il Pandit Vagish Shastri a cui devo l’aver appreso il sanscrito e il sapere con che metodo insegnarlo, e che personalmente ritengo autorevole sul sanscrito in sommo grado, il quale mi ha detto che la pronuncia di jJA non presenta alcuna deviazione dalla pronuncia dei singoli fonemi. Quindi addio ironia, difficoltà, variazioni o quant’altro: si pronuncia semplicemente come si scrive, secondo le regole abituali (importante è ricordare la necessaria enfasi sulla prima consonante di ogni congiunto consonantico, per cui nel caso di jJA sulla j iniziale, pronunciando quasi fosse jjJA).

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