Perché studiare sanscrito?

Studiare il sanscrito è la chiave d’accesso privilegiata alla civiltà indiana classica per due motivi entrambi fondamentali.
Il primo, il più ovvio, è che in sanscrito sono scritti tutti i testi della classicità indiana.

Il Mahabharata e il Ramayana sono in sanscrito, tutti i testi fondamentali (spesso chiamati sutra) della filosofia, dello yoga, della medicina, scientifici, di architettura, testi di poesia, di poetica, di teatro, di politica, religiosi, magici (insomma, relativi a qualunque argomento) sono in sanscrito.

Di conseguenza, l’intera civiltà indiana è costellata da termini-chiave in sanscrito, che tracciano il terreno nell’ambito del quale si sviluppano i dibattiti che animano la civiltà indiana classica; termini ovviamente che troviamo nei suddetti testi e che, in molti casi, sono intraducibili a meno di forzarli in concetti di matrice occidentale (concetti “nostri” in altre parole).

Eccone alcuni elencati per associazione libera: dharma, adharma, karma, samsara, varna, jati, kula, artha, purushartha, karuna, nirvana, kama, moksa, rasa, dhvani, kavya, brahman, atman, yoga, prana, danda, niti, shastra, guna, dosha, prakrti, buddhi, purusha, citta, sat, asat, bhakti, dvaita, advaita, nirguna, saguna, jiva, linga, shakti, maya, lila, muni, tapas, rta, anrta, yukta, shruti, smrti, yama, prayashcitta, saccidananda; e potrei, ovviamente, continuare.

Anche “poco” sanscrito (un’infarinatura, come si suol dire) permette di capire meglio le sfumature semantiche specifiche della maggior parte di questi termini (senza il cui controllo non si può neanche capire su che cosa e in che termini si interroghi la civiltà indiana classica).

D’altra parte senza quel che il grande Professor Daya Krishna chiama un “working knowledge of Sanskrit”, cioè le conoscenze grammaticali e sintattiche di base con le quali poter interrogare un testo nell’originale, non sarà mai possibile approfondire, nel doppio senso di andare in profondità e portare in profondità, l’eredità culturale dell’India classica.

Il secondo motivo, più sottile ma non meno importante, è legato al fatto che il sanscrito non è una lingua naturale, ma grammaticale.

Il sanscrito stesso, essendo il risultato cosciente di un perfezionamento grammaticale, riflette valori che sono fondanti dell’intera civiltà, fra cui menzionerei come particolarmente “presenti”  e tipici del sanscrito e della civiltà indiana nel suo complesso: la razionalità (tutto deve avere una spiegazione), l’ordine (spesso una forma gerarchica), la libertà di muoversi in direzioni diverse avvalendosi però di regole precise e condivise, la ricerca di un’armonia dell’uomo con la natura (tanto migliore quella regola linguistica, sociale, filosofica che abbia un corrispettivo in qualche fenomeno naturale), la volontà e la capacità di creare modelli idealizzanti (il sanscrito tende ad essere un modello linguistico perfetto più che una lingua) che siano capaci di rivelare un piano superiore alla realtà fenomenica, poiché meno aleatorio.

Va inoltre, last but not least, sottolineato il beneficio in termini di personale “coscienza linguistica” (o cultura linguistica) che il confrontarsi con la grammatica e soprattutto con la morfologia sanscrita comporta.

Riflettendo su (e continuamente operando con) realtà come quelle di cambiamenti fonetici, apofonia, radice, di suffisso, di struttura logica della frase, ecc. si è fortemente spinti a prendere coscienza della dimensione etimologica, e della soggiacente struttura, delle lingue in generale (o quantomeno delle lingue di derivazione indoeuropea che normalmente parliamo).

E’ mia ferma opinione che studiare sanscrito fornisca, direttamente o indirettamente, molti degli strumenti necessari per poter assumere un’attitudine corretta nei confronti delle parole in generale, scritte, lette, dette, o ascoltate che siano (attitudine che sarà il più possibile attenta, profonda e precisa).

4 pensieri su “Perché studiare sanscrito?

  1. Matteo

    Concordo. Io ho pochissima conoscenza di latino e greco, sebbene lavoro con alcune lingue indoeuropee e il mandarino. Sto studiando il sanscrito da circa sei mesi con il libro di Coulson e altro materiale aggiuntivo trovato in rete, ma non basta. Comprendo le regole grammaticali di verbi e casi, per esempio, ma sono ben lontano da poter leggere e comprendere una frase semplice.

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    1. Giulio Geymonat Autore articolo

      Ecco perché è bene studiare con un buon insegnante, per esempio, non so se lo conoscete, Giulio Geymonat? Hahahaha! E’ anche molto spiritoso!

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    1. Giulio Geymonat Autore articolo

      Premesso che secondo me si può studiare sanscrito da autodidatti solo se si è già studiato latino e/o greco, e anzi se in effetti li si conosce almeno un po’ (averli studiati decenni prima al liceo secondo me non basta), esiste il famoso libro di M. Coulson, Sanskrit, A complete course for beginners, della famosa collana Teach Yourself, che appunto è concepito per uno studio da autodidatta (ci sono unità progressive, molti esercizi, le soluzioni, un glossario e diversi indici). L’ipotesi invece di prendere una grammatica di sanscrito e studiarla da soli mi pare poco praticabile (a meno che uno sappia decisamente bene latino e/o greco, allora non c’è in verità un grande problema: sono lingue, tutte e tre, molto simili in effetti: è la letteratura che è completamente diversa). Buono studio, mi faccia sapere!

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